Cesare Pavese
Θα ‘ρθει ο θάνατος και θα ‘χει τα μάτια σου
O Cesare Pavese γεννήθηκε και πέρασε τα παιδικά του χρόνια στο Santo Stefano Belbo το 1908. Ήταν το χωριό όπου είχε γεννηθεί κι ο πατέρας του και η οικογένεια αργότερα επέστρεφε συχνά για τις καλοκαιρινές διακοπές. Την εφηβεία του την πέρασε στο Τορίνο. Θα ολοκληρώσει τις σπουδές του στο Πανεπιστήμιο του Τορίνο και θα εκπονήσει διδακτορική διατριβή με θέμα την ποίηση του Walt Whitman. Μετά την άνοδο του Μουσολίνι στην εξουσία προσχώρησε στο αντιφασιστικό μέτωπο και το 1935 συλλαμβάνεται και στέλνεται στην εξορία μαζί με τον Carlo Levi. Όταν επέστρεψε από την εξορία οι γερμανικές δυνάμεις είχαν ήδη καταλάβει την Ιταλία και οι περισσότεροι εκ των φίλων του συμμετείχαν στο αντάρτικο. Ο Pavese κατέφυγε στους λόφους γύρω από το Serralunga di Crea, κοντά στο Casale Monferrato, μια πόλη κοντά στο Πεδεμόντιο χωρίς εντούτοις να λάβει μέρος στον ένοπλο αγώνα. ¨ετά τον πόλεμο προσχώρησε στο Ιταλικό Κομμουνιστικό Κόμμα και εργάστηκε στην εφήμερίδα του κόμματος L'Unità. Ο κύριος όγκος του λογοτεχνικού του έργου γράφτηκε και δημοσιεύτηκε την περίοδο ακριβώς αυτή. Η ερωτική απογοήτευση (από το βίαιο τέλος της σχέσης του με την αμερικανίδα ηθοποιό Constance Dowling, στην οποία είχε αφιερώσει και το τελευταίο του βιβλίο) καθώς και η πολιτική διάψευση και απογοήτευση θα τον οδηγήσουν το 27 Αυγούστου του 1950 στην αυτοκτονία. Οι συνθήκες της αυτοκτονία του, που έλαβε χώρα στο δωμάτιο ενός ξενοδοχείου, θυμίζαν χονδροειδώς την τελική σκηνή από το προτελευταίο του βιβλίο Tra Donne Sole (Μεταξύ μόνων γυναικών). Η γνωμάτευση του ιατροδικαστή: θάνατος προκληθείς από υπερβολική δόση βαρβιτουρικών. Η τελευταία φράση στο ημερολόγιο του ήταν : Τα πάντα είναι σκατά. Όχι λόγια. Μια χειρονομία. Δεν θα γράψω πια. Η ημερομηνία έγραφε 18 Αυγούστου 1950.
Το Θα ‘ρθει ο θάνατος και θα ‘χει τα μάτια σου είναι ίσως η πιο γνωστή ποιητική συλλογή του Cesare Pavese. Δημοσιεύτηκε το 1951, ένα χρόνο μετά την αυτοκτονία του. Η συλλογή απαρτίζεται από δύο ενότητες: η πρώτη είναι η La terra e la morte (Η γη και ο θάνατος), γραμμένη στη Ρώμη το 1945-1946 και η δεύτερη είναι η Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (Θα ‘ρθει ο θάνατος και θα ‘χει τα μάτια σου), η οποία αποτελείται από οχτώ ιταλικά και δύο αγγλικά ποιήματα και η οποία γράφτηκε από τις 11 Μαρτίου μέχρι τις 10 Απριλίου 1950.
La terra e la morte
(1945-1946)
Terra rossa terra nera,
tu vieni dal mare,
dal verde riarso,
dove sono parole
antiche e fatica sanguigna
e gerani tra i sassi ‒
non sai quanto porti
di mare parole e fatica,
tu ricca come un ricordo,
come la brulla campagna,
tu dura e dolcissima
parola, antica per sangue
raccolto negli occhi;
giovane, come un frutto
che è ricordo e stagione ‒
il tuo fiato riposa
sotto il cielo d'agosto,
le olive del tuo sguardo
addolciscono il mare,
e tu vivi rivivi
senza stupire, certa
come la terra, buia
come la terra, frantoio
di stagioni e di sogni
che alla luna si scopre
antichissimo, come
le mani di tua madre,
la conca del braciere.
27 ottobre '45
Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C'è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t'ingombrano e vanno nel vento.
Membra e parole antiche.
Tu tremi nell'estate.
29 ottobre '45
Anche tu sei collina
e sentiero di sassi
e gioco nei canneti,
e conosci la vigna
che di notte tace.
Tu non dici parole.
C'è una terra che tace
e non è terra tua.
C'è un silenzio che dura
sulle piante e sui colli.
Ci son acque e campagne.
Sei un chiuso silenzio
che non cede, sei labbra
e occhi bui. Sei la vigna.
È una terra che attende
e non dice parola.
Sono passati giorni
sotto cieli ardenti.
Tu hai giocato alle nubi.
È una terra cattiva ‒
la tua fronte lo sa.
Anche questo è la vigna.
Ritroverai le nubi
e il canneto, e le voci
come un'ombra di luna.
Ritroverai parole
oltre la vita breve
e notturna dei giochi,
oltre l'infanzia accesa.
Sarà dolce tacere.
Sei la terra e la vigna.
Un acceso silenzio
brucerà la campagna
come i falò la sera.
30‒31 ottobre '45
Hai viso di terra scolpita,
sangue di terra dura,
sei venuta dal mare.
Tutto accogli e scruti
e respingi da te
come il mare. Nel cuore
hai silenzio, hai parole
inghiottite. Sei buia.
Per te l'alba è silenzio.
E sei come le voci
della terra ‒ l'urto
della secchia nel pozzo,
la canzone del fuoco,
il tonfo di una mela;
le parole rassegnate
e cupe sulle soglie,
il grido del bimbo ‒ le cose
che non passano mai.
Tu non muti. Sei buia.
Sei la cantina chiusa,
dal battuto di terra,
dov'è entrato una volta
ch'era scalzo il bambino,
e ci ripensa sempre.
Sei la camera buia
cui si ripensa sempre,
come al cortile antico
dove s'apriva l'alba.
5 novembre '45
Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.
9 novembre '45
Di salmastro e di terra
è il tuo sguardo. Un giorno
hai stillato di mare.
Ci sono state piante
al tuo fianco, calde,
sanno ancora di te.
L'agave e l'oleandro.
Tutto chiudi negli occhi.
Di salmastro e di terra
hai le vene, il fiato.
Bava di vento caldo,
ombre di solleone ‒
tutto chiudi in te.
Sei la voce roca
della campagna, il grido
della quaglia nascosta,
il tepore del sasso.
La campagna è fatica,
la campagna è dolore
Con la notte il gesto
del contadino tace.
Sei la grande fatica
e la notte che sazia.
Come la roccia e l'erba,
come terra, sei chiusa;
ti sbatti come il mare.
La parola non c'è
che ti può possedere
o fermare. Cogli
come la terra gli urti,
e ne fai vita, fiato
che carezza, silenzio.
Sei riarsa come il mare,
come un frutto di scoglio,
e non dici parole
e nessuno ti parla.
15 novembre '45
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
empre hai occhi segreti
d'acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.
Ogni volta è uno strappo,
ogni volta è la morte.
Noi sempre combattemmo.
Chi si risolve all'urto
ha gustato la morte
la porta nel sangue.
Come buoni nemici
che non s'odiano più
noi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena
viviamo affrontati
sotto povero cielo.
Tra noi non insidie,
non inutili cose ‒
combatteremo sempre.
Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perché cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
abbiamo voce roca
fronte bassa e selvaggia
un identico cielo.
Fummo fatti per questo.
Se tu od io cede all'urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
non è morte vera.
Tu non sei piú. Le braccia
si dibattono invano.
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.
19‒20 novembre '45
E allora noi vili
che amavamo la sera
bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto ‒
noi strappammo le mani
dalla viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu piú dolcezza,
non fu piú abbandonarsi
al sentiero sul fiume ‒
‒ non piú servi, sapemmo
di essere soli e vivi.
23 novembre '45
Sei la terra e la morte.
La tua stagione è il buio
e il silenzio. Non vive
cosa che piú di te
sia remota dall'alba.
Quando sembri destarti
sei soltanto dolore,
l'hai negli occhi e nel sangue
ma tu non senti. Vivi
come vive una pietra,
come la terra dura.
E ti vestono sogni
movimenti singulti
che tu ignori. Il dolore
come l'acqua di un lago
trepida e ti circonda.
Sono cerchi sull'acqua.
Tu li lasci svanire.
Sei la terra e la morte.
3 dicembre '45
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
11 marzo 10 aprile '50
To C. from C.
You,
dappled smile
on frozen snows ‒
wind of March,
ballet of boughs
sprung on the snow,
moaning and glowing
your little « ohs » ‒
white‒limbed doe,
gracious,
would I could know
yet
the gliding grace
of all your days,
the foam‒like lace
of all your ways ‒
to‒morrow is frozen
down on the plain ‒
you, dappled smile,
you, glowing laughter.
11 marzo '50
In the morning you always come back
Lo spiraglio dell'alba
respira con la tua bocca
in fondo alle vie vuote.
Luce grigia i tuoi occhi,
dolci gocce dell'alba
sulle colline scure.
Il tuo passo e il tuo fiato
come il vento dell'alba
sommergono le case.
La città abbrividisce,
odorano le pietre ‒
sei la vita, il risveglio.
Stella sperduta
nella luce dell'alba,
cigolio della brezza,
tepore, respiro ‒
è finita la notte.
Sei la luce e il mattino.
20 marzo '50
Hai un sangue, un respiro.
Sei fatta di carne
di capelli di sguardi
anche tu. Terra e piante,
cielo di marzo, luce,
vibrano e ti somigliano ‒
il tuo riso e il tuo passo
come acque che sussultano ‒
la tua ruga fra gli occhi
come nubi raccolte ‒
il tuo tenero corpo
una zolla nel sole.
Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.
Ne conosci i sapori
le stagioni i risvegli,
hai giocato nel sole,
hai parlato con noi.
Acqua chiara, virgulto
primaverile, terra,
germogliante silenzio,
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai negli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga
come polla dal fondo.
Ora ridi e sussulti
sopra questo silenzio.
Dolce frutto che vivi
sotto il cielo chiaro,
che respiri e vivi
questa nostra stagione,
nel tuo chiuso silenzio
è la tua forza. Come
erba viva nell'aria
rabbrividisci e ridi,
ma tu, tu sei terra.
Sei radice feroce.
Sei la terra che aspetta.
21 marzo '50
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Cosí li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
22 marzo '50
La casa
L'uomo solo ascolta la voce calma
con lo sguardo socchiuso, quasi un respiro
gli alitasse sul volto, un respiro amico
che risale, incredibile, dal tempo andato.
L'uomo solo ascolta la voce antica
che i suoi padri, nei tempi, hanno udita,
chiara e raccolta, una voce che come il verde
degli stagni e dei colli incupisce a sera.
L'uomo solo conosce una voce d'ombra,
carezzante, che sgorga nei toni calmi
di una polla segreta: la beve intento,
occhi chiusi, e non pare che l'abbia accanto.
È la voce che un giorno ha fermato il padre
di suo padre, e ciascuno del sangue morto.
Una voce di donna che suona segreta
sulla soglia di casa, al cadere del buio.
You, wind of March
Sei la vita e la morte.
Sei venuta di marzo
sulla terra nuda ‒
il tuo brivido dura.
Sangue di primavera
‒ anemone o nube ‒
il tuo passo leggero
ha violato la terra.
Ricomincia il dolore.
Il tuo passo leggero
ha riaperto il dolore.
Era fredda la terra
sotto povero cielo,
era immobile e chiusa
in un torpido sogno,
come chi piú non soffre.
Anche il gelo era dolce
dentro il cuore profondo.
Tra la vita e la morte
la speranza taceva.
Ora ha una voce e un sangue
ogni cosa che vive.
Ora la terra e il cielo sono
un brivido forte,
la speranza li torce,
li sconvolge il mattino,
li sommerge il tuo passo,
il tuo fiato d'aurora.
Sangue di primavera,
tutta la terra trema
di un antico tremore.
Hai riaperto il dolore.
Sei la vita e la morte.
Sopra la terra nuda
sei passata leggera
come rondine o nube,
il torrente del cuore
si è ridestato e irrompe
e si specchia nel cielo
e rispecchia le cose ‒
e le cose, nel cielo e nel cuore
soffrono e si contorcono
nell'attesa di te.
È il mattino, è l'aurora,
sangue di primavera,
tu hai violato la terra.
La speranza si torce,
e ti attende ti chiama.
Sei la vita e la morte.
Il tuo passo è leggero.
25 marzo '50
Passerò per Piazza di Spagna
Sarà un cielo chiaro.
S'apriranno le strade
sul colle di pini e di pietra.
Il tumulto delle strade
non muterà quell'aria ferma.
I fiori spruzzati
di colori alle fontane
occhieggeranno come donne
divertite. Le scale
le terrazze le rondini
canteranno nel sole.
S'aprirà quella strada,
le pietre canteranno,
il cuore batterà sussultando
come l'acqua nelle fontane ‒
sarà questa la voce
che salirà le tue scale.
Le finestre sapranno
l'odore della pietra e dell'aria
mattutina. S'aprirà una porta.
Il tumulto delle strade
sarà il tumulto del cuore
nella luce smarrita.
Sarai tu ‒ ferma e chiara.
28 marzo '50
I mattini passano chiari
e deserti. Cosí i tuoi occhi
s'aprivano un tempo. Il mattino
trascorreva lento, era un gorgo
d'immobile luce. Taceva.
Tu viva tacevi; le cose
vivevano sotto i tuoi occhi
(non pena non febbre non ombra)
come un mare al mattino, chiaro.
Dove sei tu, luce, è il mattino.
Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest'ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su noi.
È buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi.
30 marzo '50
The night you slept
Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange muta,
dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia ‒
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t'implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.
La notte soffre e anela l'alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c'è chi come te attende l'alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l'alba.
4 aprile '50
The cats will know
Ancora cadrà la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.
Ancora la brezza e l'alba
fioriranno leggere
come sotto il tuo passo,
quando tu rientrerai.
Tra fiori e davanzali
i gatti lo sapranno.
Ci saranno altri giorni,
ci saranno altre voci.
Sorriderai da sola.
I gatti lo sapranno.
Udrai parole antiche,
parole stanche e vane
come i costumi smessi
delle feste di ieri.
Farai gesti anche tu.
Risponderai parole ‒
viso di primavera,
farai gesti anche tu.
I gatti lo sapranno,
viso di primavera;
e la pioggia leggera,
l'alba color giacinto,
che dilaniano il cuore
di chi piú non ti spera,
sono il triste sorriso
che sorridi da sola.
Ci saranno altri giorni,
altre voci e risvegli.
Soffriremo nell'alba,
viso di primavera.
io aprile '50
Last blues, to be read some day
'T was only a flirt
you sure did know ‒
some one was hurt
long time ago.
All is the same
time has gone by ‒
some day you came
some day you'll die.
Some one has died
long time ago ‒
some one who tried
but didn't know.
11 aprile '50
Francesco Toso stampatore in Torino 28 febbraio 1951
Copyright 1951 e © 1962 Giulio Einaudi editore spa., Torino
1 σχόλιο:
Τι μας θύμισες τώρα με αυτό το ποίημα...
ο θάνατος θά ΄ρθει.. και θα 'χει τα μάτια σου...
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